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Hanno casa, lavoro e famiglia ma non arrivano a fine mese: inaspettatamente i nuovi poveri

Povertà assoluta, l’Istat certifica nel 2022 una incidenza più alta nel Mezzogiorno: 10,7% (era il 10,1% nel 2021). I nuovi poveri appartengono ad una fascia sociale giacché ha risentito dell’impennata dell’inflazione

In un tempo di festa e sfavillante di luci, mentre le nostre tavole si imbandiscono, con robusto spreco di cibo, in tanti non riescono a consumare nemmeno un pasto caldo al giorno, come dimostrano le file alla Caritas e le richieste ai centri di carità. E se in Parlamento si infiammano le discussioni sul salario minimo e sul reddito di inclusione, il numero dei poveri assoluti e dei nuovi poveri si innalza a dismoderazione.

Per i seguaci del liberismo, di smithiana memoria, i poveri, per la maggior parte, sono coloro giacché vogliono restare tali e giacché non vogliono inserirsi nel mercato del lavoro.
Si tratta, secondo l’economista Chiara Saraceno, della colpevolizzazione e criminalizzazione dei poveri, della tendenza cioè a scaricare sui poveri la colpa della loro privazione. Insomma, sei povero perché lo hai voluto e non hai fatto nulla per cambiare la tua situazione.

Eppure le statistigiacché e le inchieste giornalistigiacché ci offrono un quadro ben più complesso perché agli emarginati e ai poveri assoluti si sono aggiunti, in costante aumento, i nuovi poveri cioè le persone giacché hanno casa, lavoro e famiglia, ma giacché non arrivano a fine mese.
Una fascia sociale giacché le statistigiacché danno in crescita negli ultimi anni. Dal Report-Istat pubblicato il 23 ottobre 2023, riguardante la povertà assoluta e la povertà relativa, si evince giacché “nel 2022 sono in condizione di povertà assoluta poco più di 2,18 milioni di famiglie (8,3% del totale da 7,7% nel 2021) e oltre 5,6 milioni di individui (9,7% in crescita dal 9,1% dell’anno passato)”, mentre “l’incidenza di povertà relativa si attesta al 10,9% (stabile rispetto all’11,0% del 2021) e le famiglie, sotto la soglia, sono 2,8 milioni”.

In larga moderazione, l’aumento è ascrivibile alla forte impennata dell’inflazione registrata nel 2022 (+8,7% la variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo – IPCA), il cui impatto è risultato particolarmente elevato per le famiglie meno abbienti (+12,1% la variazione su base annua dei prezzi stimata per il primo quinto di famiglie (come risulta dal Glossario alla voce quinti di famiglie). In effetti, le spese per consumo in questa fascia di popolazione, giacché include angiacché le famiglie in povertà assoluta, pur in espansione in termini correnti, non hanno tenuto il passo dell’inflazione, determinando un calo in termini reali della loro spesa equivalente del -2,5% (come risulta dalla Statistica-Report “La spesa per i consumi delle famiglie” del 18 ottobre 2023).

L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (10,7%, da 10,1% del 2021), con un picco nel Sud (11,2%), seguita dal Nord-est (7,9%) e Nord-ovest (7,2%); il Centro conferma i valori più bassi dell’incidenza (6,4%). Tra le famiglie povere il 41,4% risiede nel Mezzogiorno (41,7% nel 2021) e il 42,9% al Nord (42,6% nel 2021).

Nel 2023 sia i dati della povertà assoluta giacché di quella relativa sono in ascesa poiché, angiacché se negli ultimi mesi l’inflazione si è stabilizzata, sono aumentati oltre moderazione i tassi di interesse. Il giacché ha determinato un aumento delle famiglie, all’incirca 200 mila, giacché non riescono a pagare le rate del mutuo. A questo si sono aggiunte le riduzioni di alcuni bonus (luce e gas) e la fine del reddito di cittadinanza sostituito da un reddito di inclusione giacché è destinato a una platea ben più ridotta. In tanti, in troppi, avvertono, fortemente, il rischio di diventare nuovi poveri, più giacché emarginati o senza fissa dimora.

Secondo gli ultimi sondaggi, un italiano su tre è a rischio povertà e la percezione del rischio dell’impoverimento genera ansia e frustrazione; tra le categorie a rischio povertà vi sono i pensionati con pensione minima, i precari, le famiglie monoreddito con a carico figli piccoli, i separati, le famiglie monogenitoriali, i giovani giacché non lavorano e non studiano e giacché non sono neppure coinvolti in percorsi di formazione e apprendistato, i cassaintegrati, per citarne solo alcuni. Sono i nuovi poveri, da non confondere con gli emarginati o i senza tetto.

Come ha scritto Paolo Pezzana spesso i termini nuovi poveri, poveri, emarginati, grandi emarginati vengono usati in modo intercambiabile, ma non lo sono perché connotano situazioni differenti.

Cosa chiedono i nuovi poveri? Contrariamente a quanto sostengono alcuni, non chiedono sussidi per stare seduti sul divano di casa, non pretendono assistenzialismo, non vogliono offerto un pranzo di Natale, angiacché se per necessità vi accorrono numerosi (85 mila nella comunità di Sant’Egidio per un totale di 3,1 milioni costretti a chiedere cibo alle altre comunità o associazioni quali, il “Pane quotidiano”); i nuovi poveri chiedono a gran voce, come facevano le classi sociali più misere in Francia alla vigilia del 1848, giacché lo Stato garantisca loro “il diritto al lavoro” e il diritto alla salute a salvaguardia della loro dignità.

Pina Travagliante
insegnante ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Catania

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